“Qual è il tuo sogno?”, “Cosa vuoi fare da grande?”, “Cosa ti appassiona?” Quante volte ti hanno fatto queste domande? C’è chi è subito riuscito a dare una risposta a questi fatidici quesiti senza entrare in crisi esistenziale e chi – come me – invece ci è entrata.
Prima pensi che tutte le strade sono possibili, che non c’è ancora nulla di scritto. Poi, in quinta superiore, ti crolla il mondo addosso perché hai paura di scegliere la strada sbagliata.
La prima volta che mi è stata rivolta una delle “domande oscure”, così mi piace chiamarle, avevo sei anni.
Già a quel tempo la domanda mi mandava in confusione. Non ricordo cosa rispondessi, ma conoscendemi, probabilmente fuggivo a nascondermi tra le gambe di mia madre.
Data la mia passione per gli animali avrei potuto rispondere entusiasta: “da grande voglio fare la veterinaria!”, ma in realtà una bambina di sei anni non sa quale sarà il suo lavoro.
Andando avanti con gli anni, non avendo ancora trovato una risposta, decisi di cercarla provando a fare il maggior numero di esperienze che mi potessero indirizzare verso una delle tante strade possibili.
Ho iniziato a fare sport a livello agonistico, a fare volontariato all’interno di un’associazione e ho sempre dedicato molto del mio tempo allo studio. Lo sport e il volontariato sono stati centrali nella mia vita. Entrambi mi hanno insegnato valori che sono alla base del mio modo di pensare e di stare insieme alle altre persone.
Durante l’adolescenza pensavo che avrei voluto trovare un lavoro che mi avrebbe permesso di aiutare gli altri, un lavoro che mi avrebbe fatto stare a contatto con altre persone. Ho iniziato a valutare l’ipotesi di studiare medicina, fisioterapia o infermieristica per cercare di realizzare quello che credevo fosse la mia vocazione. Era pur sempre un’ipotesi, la convinzione ancora non c’era.
Dovevo decidere cosa fare. Sono iniziati i confronti più seri con i compagni di classe, con gli amici e con la famiglia. Sentivo pressioni un po’ da tutte le parti.
Da un lato mi sembrava che i miei coetanei avessero le idee chiare su cosa volessero fare della propria vita, che avessero trovato la loro passione. Dall’altro la mia famiglia, in buona fede, mi dava consigli più pratici riguardo la possibilità o meno di trovare lavoro dopo un certo percorso di studi. Mi sono sentita persa. Non capivo più se quello che fino a quel momento pensavo mi piacesse fosse la scelta giusta. Mi piaceva medicina per curare i pazienti o per l’idea romanzata che c’è dietro la figura del medico? Ho iniziato a considerare Ingegneria quando a scuola sono stati proposti dei corsi per prepararsi al test di ingresso del Politecnico.
Sapevo che era considerato difficile. E sapevo anche che dentro di me volevo dimostrare di esserne capace. Quest’ultimo aspetto credo che abbia influito molto sulla mia scelta anche un po’ per sfida.
Quando ho scoperto Ingegneria Biomedica ho subito pensato che se avessi scelto il Politecnico questa sarebbe stata l’unica via percorribile, l’unico percorso che poteva conciliare il mio desiderio di migliorare la vita delle persone con le mie attitudini. Così, a marzo 2019 ho svolto il test di ingresso per ingegneria e sono entrata.
A posteriori posso dire di essere molto soddisfatta della scelta presa. Ancora oggi però, mi chiedo cosa sarebbe successo se avessi scelto qualcos’altro.
Dalla mia esperienza mi sento di dire che la scelta di studiare Ingegneria non sempre è una scelta facile. C’è chi la prende perché crede di essere portato o chi perché è una scelta facile perché “ti dà lavoro”, c’è chi la prende con un po’ di riserbo perché il percorso spaventa.
È una professione complessa da spiegare, con specializzazioni molto diverse tra loro. Questo però non deve essere un ostacolo ma anzi uno stimolo a voler conoscere meglio questa professione. Informatevi, parlate con chi sta seguendo quel percorso.
Io oggi sono un’Ingegnera Biomedica. E sto provando a realizzare quel sogno che avevo al liceo: dare il mio contributo nell’aiutare le persone.